Giovanni Porzio – da Vigo (30.01.07)
Era il 19 novembre 2002. Dopo una settimana di agonia nell’oceano in tempesta la petroliera greca “Prestige”, carretta del mare monoscafo di 26 anni, bandiera ombra delle Bahamas, equipaggio filippino, in navigazione da Riga a Singapore, affondava spezzandosi in due tronconi 130 miglia a sudovest di Capo Finisterre trascinando sul fondo 35 mila tonnellate di olio combustibile pesante. Prima del naufragio il cargo in avaria aveva già disperso 42 mila tonnellate di fuel oil M-100, uno dei derivati più tossici del greggio: denso, viscoso, ad alto contenuto di zolfo. Una velenosa marea nera che aveva investito 500 chilometri di costa tra Vigo e La Coruña.
L’impatto fu disastroso: morie di uccelli, di pesci e di delfini; seimila pescatori e 2.500 pescherecci a riposo forzato; danni irreparabili all’industria turistica; gravi conseguenze per l’impiego e il reddito di 885 mila persone; perdite economiche per oltre 1,2 miliardi di euro. Ma a quattro anni di distanza non c’è traccia visibile della catastrofe. Il “chapapote”, la nafta rappresa, è sparito dalle spiagge della Galizia, ripulite da un esercito di 327 mila volontari accorsi da ogni parte del mondo. Le donne, con la bassa marea, sono tornate a scavare nella sabbia in cerca di vongole. E i pescherecci hanno ripreso il mare.
Alle 5 del mattino il mercato del pesce di Vigo, il più grande d’Europa, è in fermento: 1.500 imprese del settore forniscono il 37 per cento del prodotto ittico della penisola iberica. C’è un’asta per lo spada, il baccalà e il pesce d’altura, un’altra per quello di basso fondale, un’altra ancora per i mitili e i crostacei. “L’ecosistema ha recuperato rapidamente” spiega Xosé Sánchez, “patron mayor” della Cofradia (cooperativa) dei pescatori della città e leader del movimento ambientalista Nunca Maís. “Ci siamo dati da fare e siamo stati fortunati. Il petrolio della Prestige era molto denso, ha solidificato in fretta. E i pescatori si sono subito mobilitati, nonostante i ritardi nei soccorsi e l’assenza di mezzi di decontaminazione adeguati”.
Julio Alonso era in prima linea con la sua barca. “Abbiamo combattuto senza sosta contro il chapapote” racconta. “Lo raccoglievamo con strumenti rudimentali: pale, secchi, reti galleggianti. E siamo riusciti a bloccare la marea nera all’ingresso dei fiordi dove ci sono le coltivazioni di mitili”. Le cozze sono il bene più prezioso: la Galizia è il secondo produttore al mondo dopo la Cina e ogni giorno un solo peschereccio ne scarica a terra, in media, non meno di 30 tonnellate.
Gli 8,6 milioni di euro in aiuti e compensazioni stanziati dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea dopo il naufragio del “Prestige” e i sussidi erogati dal governo spagnolo, all’epoca presieduto da José Maria Aznar, hanno rivitalizzato l’economia locale. I cantieri navali sono in piena attività. Sulle banchine del porto franco sono allineati migliaia di veicoli: le auto del grande stabilimento Citroen di Vigo e le Toyota in arrivo dal Giappone, destinate al mercato europeo. A Muxia, il villaggio di “ground zero” dove nel 2002 era installato il quartier generale dei soccorsi, il responsabile della Protezione civile Ramon Perez Barrientos mostra con orgoglio i moderni capannoni per la conservazione e commercializzazione del pesce. E sui promontori che si affacciano sulla temibile Costa della Morte, battuta dai burrascosi venti atlantici e teatro di innumerevoli naufragi, a nordest del faro di Capo Finisterre, squadre di operai sono al lavoro per costruire nuove strade.
“La tragedia del Prestige” sostiene Xosé Sánchez “ha avuto anche risvolti positivi, non solo economici. La Galizia era una regione chiusa e conservatrice. La mobilitazione sociale innescata dalla catastrofe è servita a risvegliare le coscienze: ci ha insegnato a pescare in modo intelligente, a rispettare i fermi biologici e a lottare per difendere i nostri diritti”.
Dall’autostrada del mare della Costa della Morte passano ogni anno più di 5 mila navi, ma la torre di controllo di La Coruña non dispone di radar sufficienti per sorvegliare il traffico in ogni punto del litorale. Ora il parlamento gallego sta chiedendo al governo spagnolo – competente in materia di navigazione e inquinamento marino – di rimediare e di adottare criteri più rigidi di prevenzione. “Il doppio scafo per le petroliere non basta” dice Pablo Villar, presidente della Cofradia dei pescatori di Cangas. “Servono controlli più severi sulle strutture portanti delle navi, revisioni più frequenti ed equipaggi professionali. E’ un problema globale, di cui dovrebbe farsi carico l’Organizzazione marittima internazionale adottando misure urgenti di prevenzione ed efficaci strategie d’intervento in caso di disastro”.
Nel 2002 Pablo fece lo sciopero della fame per protestare contro l’inerzia delle autorità e l’inadeguatezza dei soccorsi: non c’erano skimmer, non c’erano barriere oceaniche galleggianti, non c’erano rimorchiatori d’altura con motori abbastanza potenti. Ma ora qualcosa si è mosso. L’assessore galiziano alla Pesca Carmen Gallego ha annunciato la scorsa settimana il varo di un piano territoriale di emergenza per l’inquinamento che potrà contare su 19 imbarcazioni, 52 veicoli, un aereo, due elicotteri e nuovi rimorchiatori: i mezzi saranno coordinati da una équipe di tecnici in collaborazione con il ministero della Difesa e la Protezione civile. La prima esercitazione avrà luogo in aprile nelle acque di Vigo, simulerà l’avaria di una petroliera e vedrà impegnati tutti i nuovi mezzi disponibili, con la consulenza della compagnia petrolifera spagnola Repsol, l’intervento della Marina e degli esperti dell’Istituto oceanografico.
Il rischio per l’ambiente non è però del tutto scongiurato. Il relitto del “Prestige”, coricato a 3.500 metri di profondità, continua a rilasciare veleni: chiazze di nafta sono state avvistate nei pressi del luogo del naufragio. La Repsol, incaricata dal governo di svuotare e sigillare le stive della petroliera (un appalto da 100 milioni di euro), assicura che nei serbatoi della nave restano meno di 700 tonnellate di carburante. Ma secondo uno studio pubblicato dalla rivista Scientia Marina il quantitativo ancora a bordo oscillerebbe tra le 16 mila e le 23 mila tonnellate. Alcune specie marine come il polipo, i gamberi e i calamari non sarebbero ancora tornati ai normali livelli di riproduzione. Rostro e Nemiña, due tra le spiagge più colpite, sembrano incontaminate, ma a un metro di profondità si scopre la melma nera e appiccicosa del catrame. Mentre il 75 per cento delle 80 mila tonnellate di residui raccolti in dieci mesi di lavoro sono ancora in attesa di smaltimento nel centro di trattamento di As Somozas.
I dati più allarmanti riguardano però la salute dei volontari venuti a contatto con la nafta. Molti di loro avevano manifestato difficoltà respiratorie, dolori di testa, irritazioni oculari, sintomi gastrointestinali e disturbi del sonno. La maggior parte non utilizzava mascherine di protezione e quelle disponibili non erano adeguate a proteggere l’organismo dai gas volatili: benzene e idrocarburi aromatici potenzialmente mutageni e cancerogeni. Oggi, dopo quattro anni e centinaia di esami clinici, i ricercatori della Facoltà di biologia cellulare e molecolare dell’università di La Coruña affermano di avere riscontrato una significativa incidenza di alterazioni cromosomiche nei soggetti esposti al combustibile. Bisognerà aspettare per avere il bilancio definitivo della tragedia del “Prestige”.